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Intervista a Alessio D’Amato - «Un’agenda riformista comune, bene Gualtieri a Roma»
Abbiamo incontrato Alessio D’Amato, già candidato alle Regionali per il Centrosinistra, con una storia di sinistra-sinistra alle spalle. Ottimi rapporti con tutti, un buon pontiere tra Pd e centristi, oggi è referente di Azione per il Lazio.
Come vede la prospettiva del Campo largo?
«Su grandi questioni, al di là delle sigle e dei nomi, c’è un tema di contenuti. Se sul finanziamento delle missioni italiane all’estero un pezzo di sinistra si astiene, c’è un grande tema di cultura di governo. E diventa difficile candidarsi come alternativa al governo del Paese se non si ha la capacità di assumere responsabilità di governo».
Partire dai contenuti quindi, anziché dal contenitore.
«Direi che sarebbe un buon metodo. Anche per capire se c’è un idem sentire su alcune questioni: la tutela della sanità, il lavoro comune sulla prossima manovra, il salario minimo, la politica dei redditi. Questioni che potrebbero colmare quelle distanze sulla politica estera, sull’Ucraina, sul finanziamento alle missioni italiane all’estero… anteporre sigle o coalizioni non è funzionale. Vanno fatti passi avanti progressivi».
Prima che Campo largo, programma preciso.
«Sì, un’agenda per il Paese. Come più volte ha richiamato Romano Prodi. Perché altrimenti non solo non si è competitivi, ma si diventa ininfluenti».
E a proposito di scommesse sul futuro, c’è tanto da fare sulla salute. Lei è rimasto nella memoria collettiva come l’Assessore alla sanità che ha meglio gestito l’emergenza pandemica del Covid, con la campagna vaccinale del Lazio.
«La tutela della salute è uno dei temi più sentiti dall’opinione pubblica. Per motivi oggettivi: il Paese invecchia, aumentano le cronicità e con esse le esigenze di avere una tutela efficace e un servizio sanitario efficiente. Per questo dobbiamo tornare ad investire sulla sanità pubblica e anche nei recenti documenti del governo, l’investimento sulla sanità in termini di percentuale sul Pil sta regredendo. Arriviamo oggi al punto più basso negli ultimi 10 anni, il 6,2%».
Non è tutta colpa di Giorgia Meloni, va detto per onestà intellettuale.
«No, veniamo da un decennio di sottofinanziamento. Che si è acuito con questo governo ma c’era già con quelli degli ultimi dieci anni».
Un Paese che non investe nella salute ed è sempre più anziano, non può pensare di investire poi nell’innovazione…
«A livello globale ci sono miliardi di investimenti, con l’uso dell’Intelligenza Artificiale, per la medicina. Nord-America e Asia sono i due blocchi in cui si investe di più. Stanno trainando questa straordinaria innovazione. L’Europa sta indietro e l’Italia più indietro di tutti. A Singapore riescono già a farsi ecografie con lo smartphone e a fare diagnostica preventiva a distanza con l’IA sanitaria».
Il mondo corre. Noi arranchiamo?
«Arranchiamo mentre i temi della sanità dovrebbero essere i primi, nell’agenda politica italiana. Abbiamo delle eccellenze nel campo sanitario che altri ci invidiano, e che alla fine vanno a lavorare all’estero perché meglio pagati».
Oggi se arrivasse una nuova pandemia saremmo preparati?
«No. Oggi ci troveremmo davanti a una situazione peggiore di quella del 2020: sono state abbassate le risorse ma anche le difese, nell’opinione pubblica. Pochi lo sanno ma oggi in Italia è tornata in forte auge una malattia che pensavamo debellata come il morbillo. Noi quest’anno avremo un inverno molto difficile perché l’influenza stagionale si presenta più aggressiva del solito e insieme al Covid rischia di determinare complicanze serie per le persone più fragili e per gli anziani».
Avremo bisogno di un buon piano pandemico, insomma.
«Eccome. Invece ci preoccupiamo di questioni diverse. E lo dico avendone l’esperienza, l’eccessiva regionalizzazione della gestione sanitaria porta a una frammentazione delle risposte. E questo non è corretto. Alla domanda ‘Abbiamo imparato?’ devo rispondere di no, proprio no. E tutte le promesse che erano state fatte sono state disattese».
La sua esperienza al vertice della Regione Lazio, dove è stato a fianco del governatore Zingaretti, come la porta a valutare l’amministrazione dem di Roma? A tre mesi dal Giubileo, il momento è complicato per la Capitale.
«Il Giubileo sarà un check importante, si prevedono oltre quaranta milioni di visitatori. Dobbiamo però pensare ai quattro milioni di residenti. Roma ha bisogno di un salto in avanti, deve scrollarsi di dosso quell’icona di città in cui non cambia niente. Può e deve essere una moderna capitale europea e l’opposizione costruttiva di Azione è rivolta a dare questo impulso».
Per qualche aspetto siete consonanti con la maggioranza dem, è vero?
«Perché il Sindaco Gualtieri prende anche delle posizioni giuste. Gli sgomberi che ci sono stati in questi giorni di chi dormiva lungo le mura Aureliane sono stati opportuni. Peccato che proprio mezzo Pd si sia rivoltato. Io dico che alla destra e alle sue istanze securitarie vanno tolti gli argomenti, e bisogna farlo con un’agenda riformista di provvedimenti concreti, non ideologici ma tesi a ridare a Roma il decoro che troppo a lungo ha perso».
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